Diritti umani sotto attacco

Le lobby e le vecchie oligarchie politiche brasiliane stanno ostacolando il riconoscimento ufficiale dei territori indigeni della foresta amazzonica, che impedirebbe loro le attività di estrazione mineraria e la realizzazione di megaprogetti, come dighe e autostrade.
Le popolazioni indigene hanno deciso ancora una volta di reagire, organizzando la più grande manifestazione nazionale indigena della storia del Brasile.

Negli ultimi anni, in Brasile, i diritti umani e ambientali sono stati oggetto di attacchi sistematici da parte di specifici gruppi di interesse attivi all’interno del Congresso e del governo. La situazione è peggiorata dalla destituzione di Dilma Rousseff e dalla salita al potere del governo ad interim di Michel Temer.
A minacciare la conservazione ambientale e il rispetto dei diritti delle popolazioni indigene sono soprattutto la lobby dell’agribusiness e le vecchie oligarchie politiche che dominano il governo federale. Queste forze stanno spingendo, in modo organizzato e a tempi record, un pacchetto di misure che rischiano di “normalizzare” i crimini ambientali, le violazioni dei diritti umani e la promozione dell’accaparramento della terra.
Il processo di riconoscimento e demarcazione di numerosi territori ancestrali indigeni è bloccato e l’Agenzia brasiliana responsabile per le questioni indigene (FUNAI) è stata indebolita. La protezione delle foreste, infatti, che va spesso di pari passo con il rispetto dei diritti delle popolazioni indigene, rappresenta un grosso ostacolo per gli interessi di molte lobby. Riconoscere ufficialmente e proteggere le terre ancestrali dei popoli indigeni minaccia piantagioni, allevamenti, attività di estrazione mineraria e realizzazione di megaprogetti come grandi dighe ed autostrade.
Le popolazioni indigene hanno deciso di reagire a questa situazione organizzando a Brasilia la più grande mobilitazione nazionale delle popolazioni indigene della storia del Brasile, che ha riunito lo scorso aprile oltre quattromila leader indigeni di più di 200 diversi popoli. Gli indigeni hanno trasportato 200 bare davanti al Congresso Nazionale e aperto uno striscione con il messaggio “Demarcação Já” (Demarcazione ora). La polizia ha attaccato i manifestanti con gas lacrimogeni.
Il 28 aprile, 130 indigeni Munduruku hanno bloccato l’autostrada Transamazzonica, occupando un ponte di circa 25 chilometri che è il punto chiave di trasbordo per l’industria della soia.
Riconoscere ufficialmente le terre degli indigeni mette a rischio gli interessi di molte lobby.
Con la raccolta della soia in pieno svolgimento, l’autostrada è presto rimasta bloccata da una fila di camion in coda. Proprio ad aprile dell’anno scorso, la FUNAI aveva ufficialmente riconosciuto i territori dei Munduruku, nello stato del Parà, fornendo la base legale per richiedere la sospensione della costruzione della mega diga idroelettrica di São Luiz do Tapajós. Pochi mesi dopo, attivisti di Greenpeace provenienti da diversi Paesi del mondo, tra cui l’Italia, avevano raggiunto i Munduruku per partecipare alla demarcazione simbolica e non ufficiale del loro territorio.
La demarcazione ufficiale non è ancora avvenuta, nonostante i tempi legali siano già abbondantemente scaduti. Anche gli indigeni Gamela hanno occupato pacificamente i propri territori tradizionali, nello stato di Maranhão, da molto tempo dominato da potenti proprietari terrieri guidati dalla famiglia Sarney, a cui appartiene l’attuale ministro dell’Ambiente, José Sarney Filho.
Il 30 aprile l’accampamento dei Gamela è stato brutalmente distrutto dagli allevatori che occupano la zona, che hanno mutilato e ferito gravemente numerosi indigeni. Se il governo dovesse approvare il pacchetto di riforme ora in discussione, il Brasile rischierebbe di fare un passo indietro senza precedenti che minerebbe l’intero sistema di protezione ambientale.
Firma la petizione di Survival International: www.survival.it/petizioni/futuro-brasile